IL PRETORE
    Oddi Giuseppe chiedeva la condanna dell'Ente ferrovie dello  Stato
 al  pagamento  della  somma  di  L. 3.456.110 a titolo di adeguamento
 compenso lavoro straordinario svolto, oltre interessi e rivalutazione
 monetaria in quanto questo era stato retribuito non sulla base  delle
 retribuzioni  percepite  nel  momento  in cui lo straordinario veniva
 prestato, ma sulla base  delle  retribuzioni  percepite  prima  della
 legge n. 42/1979.
    Si    costituiva    in   giudizio   l'ente   convenuto   eccependo
 preliminarmente la prescrizione quinquennale ex art. 2948  del  c.c.;
 nel  merito  eccepiva  di  aver legittimamente applicato l'art. 4 del
 d.P.R. 16 settembre 1977, n. 1188, ai fini del  compenso  del  lavoro
 straordinario,  mentre non era stata possibile l'attuazione di quanto
 disposto  dall'art.  17,  della  legge  n.   42/1979   e   successive
 modificazioni, data la mancanza di apposito provvedimento legislativo
 che  adeguasse  i  criteri previsti dal citato d.P.R. n. 1188/1977 al
 sistema retributivo introdotto dalla legge n. 42/1979; che l'art.  17
 di  detta  legge  infatti  non  aveva abrogato i criteri delineati in
 detto d.P.R., ma aveva  dettato  una  norma  programmatica,  che  non
 operava   una   rivalutazione  automatica  dei  compensi  per  lavoro
 straordinario,  ma  subordinava  tale  rivalutazione  al   preventivo
 assolvimento  delle  previste procedure di contrattazione, al fine di
 giungere ad un nuovo sistema di misure orarie non piu' articolato  in
 riferimento   al   compenso  spettante  al  primo  dirigente,  bensi'
 direttamente  collegato  allo   stipendio   di   ciascuna   categoria
 funzionale; l'ente contestava quindi la domanda sia perche' non erano
 dimostrate  le  ore  di straordinario espletate sia perche' erronei i
 criteri di calcolo utilizzati.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    Rileva il pretore che per la decisione della presente controversia
 occorre fare applicazione dell'art. 23 della legge 17 maggio 1985, n.
 210, il quale dispone che  le  controversie  di  lavoro  relative  al
 personale   dipendente   dall'ente   ferrovie  dello  Stato  sono  di
 competenza  del  pretore  del  lavoro  e   quanto   alla   competenza
 territoriale  vigono  gli  ordinari  principi  di  competenza  di cui
 all'art. 413  del  c.p.c.,  a  seguito  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale   n.   117/1990,   che  ha  ritenuto  l'illegittimita'
 costituzionale di detto art.  23  della  legge  n.  210/1985  laddove
 prevedeva  il  radicamento  della  competenza presso il foro erariale
 (pretore del luogo sede dell'ufficio dell'avvocatura dello Stato  nel
 cui   distretto  trovasi  il  giudice  competente  secondo  le  norme
 ordinarie).
    Ai sensi dunque dell'art. 413 del c.p.c., cui fa rimando l'art. 23
 della legge n. 210/1985 modificato  dalla  suddetta  pronuncia  della
 Corte  costituzionale,  il dipendente puo' adire il giudice nella cui
 circoscrizione e' sorto il rapporto,  ovvero  il  giudice  nella  cui
 circoscrizione  si  trova  l'azienda,  ovvero  il  giudice  nella cui
 circoscrizione si trova la dipendenza alla quale e' addetto o  presso
 la quale prestava la sua opera alla fine del rapporto.
    Si  tratta quindi di tre fori concorrenti e facoltativi, nel senso
 che le parti possono a loro piacimento scegliere uno di essi.
    Nel caso di specie si radica la competenza del pretore di Roma  in
 quanto  sede dell'azienda, intesa come sede legale dell'ente ferrovie
 dello Stato (sulla scorta di una giurisprudenza ormai consolidata  in
 tal  senso),  in  quanto  il  foro  della  dipendenza radicherebbe la
 competenza del pretore di lavoro di Frosinone, essendo il  ricorrente
 addetto  all'impianto  di  Cassino,  mentre  scegliendo  il  luogo di
 stipulazione del contratto, la competenza si radicherebbe parimenti a
 Frosinone   presso   il   cui  compartimento  avvenne  verosimilmente
 l'assunzione.
    Pertanto, per poter affermare la propria  competenza  territoriale
 il  pretore  di Roma deve necessariamente fare applicazione dell'art.
 23 della legge n. 210/1985.
    Della costituzionalita' di detta norma si dubita  per  i  seguenti
 motivi in fatto ed in diritto.
    In  punto  di  fatto  occorre  rilevare  in  primo  luogo  che  le
 controversie relative ai dipendenti dell'ente ferrovie  dello  Stato,
 dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge  n. 210/1985, sono state di
 numero notevolissimo presso la pretura del lavoro di Roma ed il  loro
 andamento  e'  in  continuo  aumento  (4.292 cause iscritte nel 1987,
 5.750 iscritte nel 1988, 6.163 nel 1989, 6.548 nel 1990 e  7.500  nel
 1991).
    Un  gran  numero  di queste controversie atteneva ed attiene, come
 nel caso di  specie,  a  dipendenti  dell'Ente  che  lavorano  presso
 compartimenti diversi da quelli di Roma e del Lazio, ossia, in via di
 fatto  un  gran  numero  di dipendenti dai compartimenti piu' lontani
 (dalla Sicilia al Friuli-Venezia Giulia) preferiscono adire  il  pre-
 tore di Roma, anziche' il pretore del luogo della dipendenza cui sono
 addetti,  trattandosi  di foro facoltativo, in quanto Foro della sede
 legale dell'ente ferrovie dello Stato.
    Alla stregua delle norme vigenti il pretore del lavoro di Roma non
 puo' quindi declinare la propria  competenza  territoriale,  ma  cio'
 comporta  in  primo  luogo  un  aumento  del  carico  di  lavoro  per
 l'ufficio, aumento peculiare solo per la pretura  di  Roma,  che  non
 trova  corrispondenza  in  altre  sedi, in quanto solo a Roma trovasi
 appunto la sede legale dell'ente.
    Inoltre i problemi aumentano quando la controversia,  intentata  a
 Roma, comporti la necessita' di effettuare delle prove testimoniali o
 delle  ispezioni  sui  luoghi di lavoro o anche accertamenti tecnici,
 perche' cio' implica o lo spostamento del pretore per  effettuare  in
 loco  le  prove,  con  tutti i prevedibili inconvenienti in ordine al
 dispendio di tempo o di spese, ovvero di ricorrere a  prove  delegate
 al  pretore  del luogo ove l'attivita' lavorativa viene prestata, con
 altrettanto dispendio di energia per il pretore delegato, di notevole
 aumento dei tempi di durata delle cause, nonche' di snaturamento  del
 rito  che  deve  essere improntato, com'e' noto, alla concentrazione,
 alla oralita' ed alla  immediatezza,  ed  infatti  alcuni  interpreti
 escludono  che nel rito del lavoro si possa far ricorso a prove dele-
 gate.
    Nel caso  di  specie  occorrerebbe  acquisire  documenti,  la  cui
 trasmissione   sarebbe  meno  agevole,  dovendo  provenire  tutti  da
 Cassino.
    E' ancora da rilevare che il contenzioso  relativo  ai  dipendenti
 dell'Ente ferrovie dello Stato e' e sara', prevedibilmente, sempre di
 enorme  entita',  di  talche'  la  concentrazione, resa astrattamente
 possibile dall'art. 23 della legge n. 210/1985, ed in  via  di  fatto
 gia'  parzialmente  attuata,  di  tutte  le controversie di "tutti" i
 dipendenti dell'Ente ferrovie dello Stato presso la pretura di  Roma,
 rende il carico di lavoro insopportabile e la trattazione delle rela-
 tive  cause  incoerente  rispetto al rito, che almeno in alcuni casi,
 sarebbe gravemente snaturato.
    Si consideri infatti che i dipendenti dell'ente sono circa 200.000
 e  talvolta  uno  stesso  dipendente propone anche piu' di una causa,
 com'e' avvenuto gia' per le controversie relative alla  maggiorazione
 del  compenso  per  lavoro  straordinario o per il riconoscimento del
 servizio militare a fini di scatti di anzianita'.
    Il radicamento generalizzato di tutte queste  controversie  presso
 la  pretura  del lavoro di Roma potrebbe allora costituire violazione
 dell'art. 97 della Costituzione, che prescrive che i pubblici  uffici
 devono  essere organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che
 sia assicurato il buon andamento dell'amministrazione.
    Il principio del buon andamento deve  essere  affermato  anche  in
 relazione   all'amministrazione   della   giustizia,   non  potendosi
 individuare le ragioni che consentirebbero una sua deroga proprio  in
 un settore cosi' importante e delicato.
    Con la sentenza del 10 maggio 1982, n. 86, la Corte costituzionale
 ha  ritenuto  infatti  che  i  principi  di  cui  all'art.  97  della
 Costituzione si applichino anche all'amministrazione della  giustizia
 in  quanto,  dice  la  Corte,  "sarebbe  paradossale  voler  esentare
 l'organizzazione degli uffici giudiziari da  ogni  esigenza  di  buon
 andamento.
    Al di la' delle espressioni adoperate nel primo comma dell'art. 97
 della  Costituzione  e  nel  titolo della sezione che lo ricomprende,
 anche per gli uffici giudiziari spetta alla Corte di accertare se  le
 leggi   organizzative   non   contengano  disposizioni  a  tal  punto
 irrazionali,  da  eccedere  l'ambito   del   "potere   discrezionale"
 riservato al Parlamento.
    L'opinione  in  tal senso e' stata confermata dalla sentenza della
 Corte costituzionale 19 gennaio 1989, n. 18.
    Si potrebbe obiettare che,  ove  fosse  ritenuto  incostituzionale
 l'art.  23  della  legge  n.  210/1985,  solo  i dipendenti dell'Ente
 ferrovie dello Stato, a differenza  di  tutti  gli  altri  dipendenti
 privati, non avrebbero la possibilita' di scegliere liberamente tra i
 tre  fori  concorrenti,  in  quanto  solo ad essi sarebbe precluso di
 adire il pretore del luogo ove trovasi la sede legale dell'azienda. A
 tale obiezione si puo' rispondere in primo luogo che non  vi  sarebbe
 alcuna violazione dell'art. 24 della Costituzione in quanto avrebbero
 piena e migliore tutela giurisdizionale intentando la causa presso il
 pretore  del luogo della dipendenza in cui lavorano ed infatti sembra
 questa l'esigenza essenziale ed insopprimibile, come  ritenuto  anche
 dalla  sentenza  della  Corte  sopra  citata n. 117/1990, ove proprio
 sulla base di questa necessita' si e' dichiarata incostituzionale  la
 previsione della competenza territoriale presso il foro erariale.
    Si  consideri  poi che il dipendente potrebbe trovarsi anche nella
 veste di convenuto, in cause di licenziamento  o  accertamento  della
 fondatezza  di  sanzioni  disciplinari,  nel  qual caso la sua difesa
 presso il  foro  di  Roma  potrebbe  essere  meno  agevole,  data  la
 lontananza dal luogo ove i fatti contestati si son verificati.
    Avrebbe  quindi  poco  senso l'aver dichiarato, con la sentenza n.
 117/1990, l'incostituzionalita' del  foro  erariale  e  nel  contempo
 continuare  a  consentire la trattazione delle controversie presso il
 foro di Roma, perche' questo potrebbe essere molto piu' lontano dalla
 sede di lavoro di quanto non sia il foro erariale.
    E non vi sarebbe neppure una discriminazione vietata  dall'art.  3
 della  Costituzione,  in  quanto  sussiste una notevole differenza di
 situazioni e di ragionevoli esigenze, dal momento  che  i  dipendenti
 dell'Ente  ferrovie  dello  Stato sono in numero incommensurabilmente
 superiore  rispetto  degli  altri  enti pubblici per i quali vi e' la
 giurisdizione del giudice del lavoro.
    Di talche', ritenuta la  pienezaza  della  tutela  giurisdizionale
 radicando  la  causa nel foro della dipendenza, nulla dovrebbe ostare
 all'eliminazione di un foro facoltativo che nulla aggiunge in termini
 di tutela e che comporta invece  una  irrazionale  distribuzione  dei
 processi,  caricando  a  dismisura  "un  solo" ufficio giudiziario in
 tutta Italia e creando per lo stesso gravi problemi nella trattazione
 delle controversie.